La Uncanny valley si trova nel solco tracciato tra la somiglianza del robot all’essere umano e la risposta emozionale di quest’ultimo. Nonostante ciò, tutto quello che assomiglia all’uomo può essere soggetto all’effetto della uncanny valley come videogiochi, bambole e androidi.
La ‘uncanny valley’ (zona perturbante o valle perturbante) è una caratteristica emozionale che si presenta quando ci imbattiamo in un soggetto che è quasi, ma non del tutto, umano.
Questa ipotesi viene presentata nel 1970 dal pioniere robotico giapponese Masahiro Mori e pubblicata sulla rivista Energy. Mori sosteneva che una maggiore somiglianza dei robot con gli esseri umani avrebbe permesso ai primi di risultare più gradevoli, e pertanto più accettabili, dai secondi. Tuttavia anche il grado di somiglianza incide sulla risposta emotiva. Infatti quando la similarità all’essere umano è buona ma non ottima viene comunque evidenziato un certo grado di disagio da parte dell’uomo mentre, se si supera questo grado, e si raggiunge una vera e propria affinità la risposta emotiva torna ad essere positiva. La Uncanny valley si trova proprio nel solco tracciato tra la somiglianza del robot all’essere umano e la risposta emozionale di quest’ultimo. Nonostante ciò, tutto quello che assomiglia all’uomo può essere soggetto all’effetto della uncanny valley come videogiochi, bambole e androidi. Non tutti i robot umanoidi però sono inquietanti e la percezione comunque varia da persona a persona.
Nonostante il fenomeno della uncanny valley sia conosciuto da oltre 40 anni solo dal 2005 la ricerca ha iniziato a dedicarsi seriamente a questo fenomeno grazie anche alla traduzione in inglese della ricerca di Mori eseguita da Karl MacDormac e Takashi Minato.
L’effetto di questo fenomeno è piuttosto semplice da individuare infatti la ricerca ha dimostrato che la sensazione di familiarità e piacevolezza aumenta di fronte ad un robot antropomorfo tuttavia anche l’estremo realismo può essere dannoso causando un forte calo delle risposte emotive. Maya Mathur e David Reichling hanno studiato ottanta diversi tipi di robot che già operano nel mondo reale e hanno riscontrato un chiaro effetto valle in molti casi. I loro dati pertanto confermano la teoria di Mori.
Esistono anche delle teorie contrarie all’esistenza della uncanny valley, come quelle presentate da Jari Kätsyri e il suo team che però non dimostrano l’inesistenza di questo fenomeno ma lo ritengono sfuggente e pertanto difficile da analizzare.
La presenza della uncanny valley potrebbe dipendere dal fatto di credere o meno nella capacità degli esseri umani di considerare quasi-umani i robot. Uno studio condotto da Kurt Gray e Daniel Wegner ha dimostrato che il robot risultava snervante solo quando era in grado di sperimentare e percepire i fatti mentre i robot meno ‘intelligenti’ risultavano più rilassanti. Jari Katsyri, dell’Università finlandese di Espoo, ha concluso che in realtà la valle delle perturbazioni dello spirito è uno stretto passaggio, da cui si transita, ma che si riesce a superare con una certa rapidità e perfino con insospettata disinvoltura. Il problema si presenta solo quando la quasi totale somiglianza robotica si rompe e uno sguardo un po’ storto o un gesto incongruo svelano la natura tecnologica del robot. Così – ha spiegato Karl MacDorman della Indiana University alla Stampa – la volenterosa immedesimazione si blocca e l’essere umano che si stava entusiasmando (o forse flirtando) sprofonda nella delusione.
Quello che risulta certo a questo punto della ricerca è che se un robot fosse indistinguibile da un essere umano la uncanny valley non esisterebbe perché non ci sarebbe più una relativa risposta emotiva.
Gianluca Pedemonte