Simonetta Lumachi è una delle fondatrici dell’Accademia Philos ed è stata una della prime a collaborare con Scuola di Robotica nel campo dell’autismo. Oggi vi proponiamo il dialogo che abbiamo avuto con lei riguardo ad autismo e robotica.
L’accademia pedagogica Philos nasce con lo scopo di ricercare e sviluppare il benessere psico-fisico e le risorse interne dell’individuo, tramite un impegno attivo in molteplici aree di intervento, ma in particolare offrendo professionalità e tecniche psicoeducative nel campo dell’autismo. Scuola di Robotica ha fatto con loro i primi passi in questo mondo.
Dottoressa Lumachi, lei è una delle fondatrici dell’Accademia Philos, come nasce questa idea?
L’associazione Philos nasce dall’esigenza di diversi liberi professionisti specializzati nel campo dell’autismo di andare a riunire i vari saperi creando un accademia dove i genitori e i ragazzi possano trovare un luogo in cui si possa avere una consulenza medica più approfondita, neuropsichiatrica o psichiatrica, oppure un luogo dove svolgere attività ludiche, espressive e di crescita. Cerchiamo anche di evitare ai genitori spostamenti in tutta Italia ed è per questo che raccogliamo diversi professionisti al livello nazionale e internazionale che vengono a dare consulenze a Philos a seconda degli argomenti e dei momenti. Creiamo quindi dei momenti in cui le famiglie, se lo desiderano, possono decidere di chiederci la consulenza di un professionista particolare; abbiamo, per esempio, una forte collaborazione di Lalli Howell, Direttrice del Cedar Centre di Brighton, che ha collaborato con Simon Baron-Cohen, uno dei massimi esperti sull’autismo. Inoltre con noi collaborano anche il professor Zappella, uno dei primi che si è occupato di autismo a livello nazionale importando alcune metodologie americane, Maurizio Arduini dell’ASL di Mondovì, il professor Solari e la professoressa Battaglia.
Come sono stati gli inizi dei laboratori con Scuola di Robotica?
Gli inizi sono stati molto aperti e sperimentali e sicuramente anche pieni di curiosità, sia da parte mia che da parte dei ragazzi. Era proprio il fatto di “andare a vedere l’effetto che fa” avrebbe detto Iannacci. Cioè andare a sperimentare se veramente queste tecniche e questa tipologia di lavoro poteva essere consona alle caratteristiche dei ragazzi con autismo. Ed è stato da subito l’apertura di una finestra su un mondo fantastico. Io ho notato immediatamente come i ragazzi si trasformassero durante i laboratori e grazie a questa attività abbiamo sperimentato l’utilizzo della robotica facendo dei test classici sulle abilità e sulle funzioni dei soggetti che avevamo coinvolto i quali hanno allungato i tempi di attenzione e migliorato l’attività dell’apprendimento cooperativo, del gioco di squadra, del rispetto dei tempi degli altri e delle idee. Tutto questo grazie alla magistrale abilità di Emanuele (Emanuele Micheli è il vicepresidente di Scuola di Robotica): che, oltre a essere un grande professionista, è sicuramente una persona molto particolare anche da un punto di vista umano, dotato di una grande intelligenza emotiva. E grazie a questo è riuscito a catturare i ragazzi.
Come si svolgevano le attività durante i laboratori?
L’attività si svolgeva cercando di creare una storia condivisa in cui tutti i ragazzi dovevano essere d’accordo nel metodo e nella suddivisione dei compiti che nei soggetti autistici non è semplice. Devo dire che ci siamo divertiti da morire e forse proprio l’ingrediente del divertimento e dell’attività ludica ha dato i presupposti per far nascere cose molto importanti come la creazione di piccoli filmati. Abbiamo poi fatto dei lavori nelle classi nelle quali cercavamo di ribaltare l’idea dell’integrazione portando un attività dove il soggetto autistico, che tendenzialmente era ritenuto la persona con maggiori difficoltà, era in quell’ambito il leader; era colui che spiegava ai compagni come poter andare ad assemblare un piccolo robot.
Quindi erano gli altri che si integravano con lui?
Si ed è stato bellissimo. Addirittura avevamo trovato una scuola dove, grazie alla Lim, riuscivamo a far lavorare i gruppi in contemporanea con il nostro soggetto che conduceva la lezione e diventava il leader trainante. Il primo esperimento lo abbiamo fatto in una scuola media a Pegli. Poi lo abbiamo ripetuto sia in classi di scuola primaria che superiori e abbiamo visto che è un attività davvero vincente.
Mi racconti un episodio che le è rimasto impresso
Ogni laboratorio ha portato un emozione fortissima ma uno degli episodi che mi ha colpito di più è stato proprio andare a scoprire come un ragazzo con un temperamento molto forte e che si arrabbiava facilmente è riuscito, durante uno di questi laboratori, a gestire la rabbia pur di non nuocere alla squadra. Questo mi aveva colpito perchè durante il laboratorio, che di solito durava un’ora e mezza, si era trattenuto moltissimo e alla fine mi aveva chiesto se poteva andare a riposarsi “perchè aveva fatto una fatica incredibile a non arrabbiarsi” ed è andato nel nostro appartamento, che utilizziamo per le autonomie sociali, a dormire. Quindi effettivamente era stato un lavoro enorme per lui trattenersi ma ce l’aveva fatta perchè, probabilmente, la motivazione al gruppo era altissima e quello che era riuscito a creare Emanuele era un gruppo coeso che regge tuttora.
Nei vostri laboratori utilizzate spesso Lego WeDo, quali sono le sue peculiarità?
Ho notato che Lego WeDo funziona molto bene nei gruppi dei piccolini specie dalla materna alla primaria perchè ci permette di andare a operare sul creative learning. Il fatto di essere suddivisi almeno in tre gruppi e di andare a rivestire tutti e tre i ruoli a rotazione è una leva vincente perchè permette di comprendere che queste sono attività collaborative e non competitive e questo già è magico. In un mondo dove la competizione è alla base riuscire a spezzare questo meccanismo è far capire che comunque collaborando il risultato è più divertente, agevole, e facile da raggiungere li aiuta. Inoltre ho visto che nelle classi permette di conoscersi e capire anche cosa piace ai bambini.
Qual è stato il risultato migliore?
Secondo me proprio il fatto di riuscire a superare la frustrazione dell’attesa e del passare da una mansione all’altra che per il soggetto autistico è molto difficile e il fatto di creare un precedente positivo li aiuta.
In questo video possiamo vedere il primo laboratorio di robotica educativa che Scuola di Robotica ha tenuto a Philos.
Intervista a Simonetta Lumachi di Gianluca Pedemonte