Le Università di Pisa e Tubingen hanno progettato un esoscheletro che ha permesso ad alcuni pazienti paraplegici di compiere semplici gesti come firmare un documento o sollevare una tazza: oggi ne parliamo insieme
Il progetto delle Università di Sant’Anna e di Tubingen prevede un esoscheletro in grado di restituire una parziale mobilità ai pazienti quadriplegici. Infatti si basa sull’idea di ripristinare le abilità motorie del paziente andando a interpretare gli stimoli che una persona invia dal proprio cervello tramite una cuffia. Questa cuffia contiene una serie di elettrodi che interpretano il segnale inviato dal cervello per poi trasmetterlo alla protesi della mano che decodifica l’impulso e muove l’oggetto secondo le intenzioni del paziente. “Nelle persone con paralisi è interrotto un circuito interno, quello che noi facciamo è tentare di ripristinarlo dall’esterno, bypassando la lesione”, ha spiegato Maria Chiara Carrozza, professoressa dell’Università di Pisa, a Repubblica. Oltre alla cuffia, per migliorare la lettura degli impulsi, è previsto un tablet che riceve i segnali tramite wireless. Per quanto riguarda la struttura vera e propria della protesi invece si può dire che questa vada a posizionarsi sulla mano vera e propria e la “aiuti” a compiere quei movimenti richiesti dagli impulsi cerebrali. Infatti i pazienti che hanno provato questa protesi sono affetti da quadriplegia con lesione al midollo spinale, una paralisi del torso e dei quattro arti principali e, come potete vedere nel video, in breve tempo sono riusciti a gestire e a manovrare questo supporto riuscendo a compiere azioni impossibili per loro come firmare un documento, tenere una tazza in mano e raccogliere una carta di credito.
02/02/2017 – Articoli, Notizie
Protesi robotiche: Progresso e riflessi etici
Le Università di Pisa e Tubingen hanno progettato un esoscheletro che ha permesso ad alcuni pazienti paraplegici di compiere semplici gesti come firmare un documento o sollevare una tazza: oggi ne parliamo insieme
Durante gli ultimi giorni si è molto letto sui giornali e nel web dell’esoscheletro di una mano progettato e realizzato dall’Università Sant’Anna di Pisa in collaborazione con l’Università di Tubingen (Germania). Siamo consapevoli che questo non è l’argomento principale da noi trattato tuttavia riteniamo importante discutere di quanto proceda rapidamente la tecnologia e in quali modi può essere utilizzata. Infatti, se da un lato queste tecnologie possono aiutare milioni di bambini, adulti e anziani a vivere una vita migliore, dall’altro è necessaria una riflessione su quelli che potrebbero essere gli impieghi negativi di queste tecnologie. Non sarebbe la prima volta nel corso della storia che una tecnologia creata per il bene dell’umanità venga poi utilizzata per scopi bellici o distruttivi. Naturalmente noi di scuola di Robotica, come abbiamo sottolineato molte volte, siamo assolutamente favorevoli alla creazione di nuove tecnologie, robotiche e non, che possano migliorare le condizioni di vita della persone tuttavia riteniamo che una riflessione sul futuro di queste tecnologie non solo sia necessaria ma anche doverosa a causa del senso di responsabilità che sentiamo nei confronti di chi andrà a utilizzare queste tecniche. Inoltre siamo convinti che una maggiore consapevolezza e un utilizzo critico di queste tecnologie possano aiutare le prossime generazioni, che a contatto con queste nasceranno e cresceranno, a utilizzarle in maniera corretta e pacifica.
Il progetto delle Università di Sant’Anna e di Tubingen prevede un esoscheletro in grado di restituire una parziale mobilità ai pazienti quadriplegici. Infatti si basa sull’idea di ripristinare le abilità motorie del paziente andando a interpretare gli stimoli che una persona invia dal proprio cervello tramite una cuffia. Questa cuffia contiene una serie di elettrodi che interpretano il segnale inviato dal cervello per poi trasmetterlo alla protesi della mano che decodifica l’impulso e muove l’oggetto secondo le intenzioni del paziente. “Nelle persone con paralisi è interrotto un circuito interno, quello che noi facciamo è tentare di ripristinarlo dall’esterno, bypassando la lesione”, ha spiegato Maria Chiara Carrozza, professoressa dell’Università di Pisa, a Repubblica. Oltre alla cuffia, per migliorare la lettura degli impulsi, è previsto un tablet che riceve i segnali tramite wireless. Per quanto riguarda la struttura vera e propria della protesi invece si può dire che questa vada a posizionarsi sulla mano vera e propria e la “aiuti” a compiere quei movimenti richiesti dagli impulsi cerebrali. Infatti i pazienti che hanno provato questa protesi sono affetti da quadriplegia con lesione al midollo spinale, una paralisi del torso e dei quattro arti principali e, come potete vedere nel video, in breve tempo sono riusciti a gestire e a manovrare questo supporto riuscendo a compiere azioni impossibili per loro come firmare un documento, tenere una tazza in mano e raccogliere una carta di credito.
Naturalmente questo progetto non è il primo ne l’unico tentativo in corso per tentare di migliorare la vita di queste persone con l’ausilio della robotica. La scorsa estate Miguel Nicolelis, specialista in neuroscienze della Duke University del North Carolina, ha pubblicato sulla rivista Scientific Reports uno studio condotto nell’ambito del progetto ‘Walk Again’ a San Paolo del Brasile da un equipe di ricercatori da lui guidati dove si evidenziava come otto pazienti, paralizzati da molti anni, avessero recuperato parzialmente il senso del tatto e la sensazione del dolore grazie a quello che lo stesso Nicolesis ha definito un “interfaccia cervello-macchina” ovvero un collegamento tra loro e un avatar realizzato senza il ricorso a chip, elettrodi o altri stimolatori nel corpo. La base della ricerca stava nelle interazioni uomo-macchina e grazie ai loro pensieri questi pazienti sono riusciti a mettere in movimento i loro avatar virtuali. Inoltre, grazie a protesi robotiche, alcuni di questi pazienti sono riusciti a muovere alcuni muscoli dopo anni di inattività.
Risultati straordinari quindi quelli che vengono collezionati tutti i giorni nelle Università e nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, addirittura impensabili fino a pochi anni fa. Questi risultati ci possono aiutare a capire molte cose, in primis che le strade per abbattere le barriere sociali e architettoniche nei confronti delle persone con disabilità sono molte e spesso percorribili. In secundis ci ricordano come si debba perseverare nella strada della ricerca per poter continuare sulla strada del progresso tutti insieme, senza abbandonare nessuno.
Testo a cura di Gianluca Pedemonte